Nell’ambito della nostra inchiesta popolare, condotta dai cittadini per i cittadini, gli iscritti della nostra associazione hanno raccolto testimonianze, spunti di riflessione e proposte tra i loro contatti. Quella che pubblichiamo oggi è una lettera alla città molto articolata e complessa che ci parla del “durante” nel quale siamo immersi in questa fase 2 e apre una breccia ragionata sul futuro, ovvero sul dopo-Covid.
L’autrice si chiama Anna.
La crisi portata dal Covid-19 ci costringe a cambiare, comunque.
Il più è usare questo cambiamento per fare meglio di prima. Perché non c’è dubbio che ci saranno un «prima», un «dopo» e un lungo «durante» nei quali si affollano domande senza risposta, per ora, ma alle quali mi piace l’idea di cercare di rispondere insieme.
IL LAVORO
Per quello che riguarda la mia vita personale, questa crisi ha accentuato il senso della mia precarietà esistenziale e lavorativa. La lontananza dagli affetti, vicini e lontani, ha spezzato la percezione della realtà, il modo di vivere il presente e la capacità di programmare il futuro. Vivo a Bologna da più di trent’anni eppure ho sempre vissuto questa città come una piattaforma, un posto da cui partire e a cui tornare facilmente. Questo ovviamente è cambiato con il Corona Virus, sia dentro di me che fuori.
Da lavoratrice autonoma, tutto ancora trema. Cosa succederà? I concorsi previsti per ampliare gli organici si faranno ancora e con che tempi? Le attività di consulenza che svolgo, quando e a che condizioni riprenderanno? Ho la fortuna di vivere in una casa di cui sono proprietaria, nella quale lavoro bene e in cui lavoravo tanto anche prima del distanziamento sociale. Ma per quanto? E che ne sarà del mio mutuo?
IL MODELLO “DI MASSA”
In generale è facile pensare che Bologna debba cambiare. La sua vocazione ad essere sede di incontro, come dimensione di vita all’interno della città e come apertura a realtà e esperienze di altri territori e Paesi, cambierà. In generale il modello “di massa” non ci sarà più, sicuramente “durante” ma forse anche “dopo”.
Non mi sembra del tutto un male se non per le lacrime e il sangue che saranno versati in questi cambi di scenario. E il cui prezzo temo pagheranno sempre i soliti. Un sistema di relazioni, prodotti e servizi da ripensare, considerando quindi che non potranno più essere “di massa” per un lungo periodo.
Quanto alle relazioni questa può essere un’occasione per Bologna per ritrovare una parte di sé che è stata un po’ trascurata negli ultimi decenni. Pur brillando sempre tra tutte le realtà urbane, non solo nazionali – per modello di vita, senso civico, capitale sociale, servizi – Bologna ha perso da tempo la sua anima, la sua bonomia e semplicità. Non intendo una Bologna da cartolina, tetti e anima “rossa”, tortellini e sfogline, Peppone e don Camillo; ma nemmeno la negazione, nella pratica, di quei valori che le hanno dato la sua cifra distintiva unica e preziosa.
LA DIMENSIONE UMANA
La città a dimensione umana, il centro non troppo grande e non troppo piccolo che ti permette di fare tutto, oggi si fanno molto pagare, economicamente e non solo. Bologna ti rende ancora possibile fare tutto e soprattutto sa fare: è attiva, il suo laboratorio sociale e civico è sempre all’opera. Ma sembra che tante cose le faccia così, giusto per fare, o meglio far vedere che è capace di farle. Si comporta un po’ da prima della classe ma non metabolizza interiormente i progressi, i modelli sociali e socio-economici che elabora e che rappresenta.
Sotterraneamente Bologna ascolta le sirene dei populisti, anche per dare rappresentanza ad un’anima solidamente borghese ed elitaria che permea i cerchi e i circoli in cui siede tanta parte dei bolognesi che decidono.
La solidarietà è ancora presente, qui operano tante no-profit, parrocchie e associazioni attive socialmente, ma è diventata di nicchia e a volte solo di facciata. Basta vedere cosa è diventato il modello cooperativo.
Come tutte le città sottoposte alla pressione della competizione economica con altri territori, e con i crescenti tagli - a livello centrale e locale - ai fondi per i servizi pubblici, intesi in senso lato, le relazioni e il tessuto sociale, nella mia percezione, si sono alterati.
IL MONDO DI MEZZO
Con la crisi economica del 2008 le cose sono cambiate drammaticamente. Ma ora Bologna stava lentamente rifiatando, con scelte non sempre convincenti ma stava ritrovando la sua anima e nuove risorse. Adesso questa nuova crisi, che non nasce come crisi economica ma che spezza le gambe al sistema economico, come la trasformerà? Inutile custodire l’ideale di una Bologna che corre coesa se, anche in questa crisi, a correre sono solo i rider, e, diversamente, la Ferrari.
Al mondo di mezzo tra questi due poli, alla piccola e media borghesia, al “ceto medio”, rimane l’affanno di cavarsela e restare a galla, ma nel bene e nel male non si può correre. Bologna vive di rendita di posizione in tanti campi dignitosamente; in altri investe e rilancia, è meravigliosamente creativa; in altri ancora, troppi, sarebbero da scoperchiare alcuni privilegi e rigidità, che occludono il dialogo nella società tra le parti sociali, in modo efficacemente inclusivo.
Pensando agli ambiti che hanno reso solido e tanto ammirato il nostro modello di città cito solo i primi che mi vengono in mente pensando ai suoi “asset strategici” e agli ambiti in cui può esercitare le proprie competenze come Città Metropolitana e Comune: trasporto (urbano e non), turismo, fruizione collettiva di spettacoli, studio a tutti livelli ma soprattutto universitario e relativi servizi, anche di alloggio; la sanità, ormai tema primario e preliminare ad ogni politica.
IL MODELLO BOLOGNA
Bologna come tante altre realtà urbane – e il sistema Paese nel suo complesso - come potrà ripensare i suoi modelli? Bologna crocevia di trasporto ferroviario ed efficiente modello di trasporto pubblico urbano e interurbano (e con l’aeroporto sempre più internazionale), come garantirà - ancora per lungo tempo - le condizioni di salute necessarie per fruire in sicurezza di questi mezzi di trasporto? Si ritornerà all’uso necessario dell’auto propria, anche se aumenterà lo smart working che potrebbe rendere meno necessari tanti spostamenti?
Quanti e quali turisti arriveranno, visto il prevedibile calo dei voli low cost e, in generale, della libertà di circolazione? Cosa succederà al mercato immobiliare e degli affitti, e a quel modello economico, in parte malsano, che comunque aveva cambiato in modo rilevante questa città?
La Bologna dei teatri e dei cinema, come sopravviverà? Al di là del fatto che oggi è difficile pensare anche a più attori sullo stesso palco senza mascherina, come si garantirà l’accesso a un pubblico tale da sostenere il sistema, già fragile, di questo tipo di rappresentazioni? Eppure le rappresentazioni collettive hanno un altissimo significato per promuovere la coesione sociale e il senso della collettività.
L’UNIVERSITA’, I DISABILI E GLI ANZIANI
L’Università di Bologna sarà ancora in grado di garantire attrattività se lo studio universitario si sposterà in larga parte anche in modalità di fruizione online? E come cambia il sistema di economia visto l’apporto che gli studenti universitari hanno sempre dato alla vita e alle risorse della città? Probabilmente solo alcuni aspetti del servizio sanitario saranno “di massa” almeno nel senso di tutela della salute collettiva e adozione di relativi strumenti. Con alti costi e necessarie difficili compensazioni. Ma certe forme di assistenza sanitaria e sociale potrebbero soffrire e abbattere qualità di vita in contesti già molto precari. Si pensi solo a come in questa crisi sono stati dimenticate le persone con disabilità e le loro famiglie e gli accrocchi già precari con cui garantivano assistenza o almeno continuità di presenza ai propri cari. Si pensi alla strage di anziani, avvenuta nello strisciante retropensiero che si tratti di perdite dolorose, su cui fare indagini penali e per accertare ogni responsabilità, ma, in fondo, un male minore, il destino solo un po’ anticipato di una sorte già scritta per persone che non sono un contributo ma un peso per la società (salvo per alcune rsa). Eppure siamo una società di “vecchi” secondo ogni statistica demografica.
Si pensi alla difficoltà di garantire adeguatezza di prevenzione e cure in ambienti difficili come le carceri, anche nell’efficiente Bologna, anche queste un raccoglitore di anime già dannate, per cui non si trovano mai risorse. I migranti, accolti e abbandonati, utili nei nostri campi ma non integrati, e oggi non curati, in una società debole e ancora più indebolita, come potrebbero essere considerati?
LA GRAMMATICA DELLE RELAZIONI
Ma è questa la normalità, il “prima” a cui vogliamo tornare? Queste domande riguardano largamente il “durante” ma avranno una portata temporale e un impatto per cui cambieranno profondamente le cose anche “dopo”. Cambia il concetto di città, di vita insieme e di partecipazione. Cambia in senso positivo, forse più solidarietà, ma anche più diffidenza, ognuno può essere portatore di virus. La vita in piazza, la partecipazione politica di piazza che sembravano risvegliarsi ed essere salutate con un certo entusiasmo, contro certi modelli di partecipazione e comunicazione, saranno possibili?
La fisicità delle relazioni interpersonali, un certo modo di interpretare il linguaggio del corpo, come parte integrante delle relazioni umane cambierà. Cambierà la grammatica delle relazioni tra cittadini e con le istituzioni (e forse qui il cambiamento può essere positivo, investendoci molto). Cambierà il modo di circolare e di comprare. Chi mai prenderà un bus, proverà un abito, toccherà un libro, berrà un caffè, pensando che da questo contatto può derivare il contagio? In una città che per ogni acquisto, per un lungo periodo, dovrà mettersi in fila, come cambierà e sarà considerata la variabile del tempo?
La disinfezione sociale garantita “di default” dalle comunicazioni digitali può essere un grande aiuto ma non tutta la risposta. Sembrano finalmente rotti gli argini e, sotto la spinta della necessità, si è dato luogo a una digitalizzazione compulsiva da parte di imprese e istituzioni, necessaria in tanti comparti ma che evidenzia ancora di più i limiti del digital divide. Per chi non ha risorse economiche e culturali e di connettività o di devices per accedere a questi servizi. Molto banalmente nel mio condominio ci sono molti anziani, non competenti digitalmente, senza internet a casa, senza smartphone.
Ma la città non può smettere di parlare a queste persone, perchè le isola ulteriormente. Abbiamo visto come i condomini in effetti sono il primo nucleo sociale, in tempi di isolamento domestico. La terribile categoria degli amministratori condominiali, che ben conosce la realtà dei condomini amministrati, potrebbe essere per una volta un attivatore sociale più che un contenitore di crisi di convivenza.
L’AMBIENTE
Un riferimento al ciclo produttivo alimentare e all’ambiente, l’unico che sembra trarre beneficio da questa società immobilizzata. Tornare a un sistema di approvvigionamento locale non è possibile in toto, non siamo autonomi, ma favorire i km zero, i produttori e i distributori locali, si può, o almeno si dovrebbe per quanto possibile.
In tempi in cui la raccolta della frutta sembra a rischio perché mancano gli immigrati “utili” si potrebbe guardare altrove, favorire forme di lavoro per gli studenti, non solo universitari, come si faceva ancora un paio di decenni fa. Favorire forme di collaborazione con la società, per cui partecipi alla raccolta, sei pagato e in più puoi portare via una piccola parte del raccolto per la tua famiglia, il tuo condominio. Questo riavvicinerebbe anche le persone alla terra in senso vero. E i comuni più piccoli e più agricoli alla “città grande”.
Purtroppo, saranno tanti i disoccupati che probabilmente saranno disponibili a fare affidamento su queste formule, transitoriamente. Certo nel lungo periodo occorrerà fare qualche riflessione più ampia ma in questo “durante” occorrerebbe pensare a forme agili di microcredito sostenibile e a un diverso rapporto tra cittadini e piccole imprese con le istituzioni finanziarie.
Tante cose sono più grandi di me e perfino di Bologna. Non tutto dipende da Bologna, ovviamente, troppe responsabilità e competenze ci superano. Ma possiamo proporre un modello più sano, non ingenuo e sostenibile sotto tutti i profili.