Coltivare la città e la terra

Questo sabato e domenica, sono andato a trovare due realtà importanti della città. Due lembi di terrà diversi tra loro ai confini del nostro tessuto urbano, attraversati da una intensa vita di comunità. Si tratta della Cooperativa Arvaia a Borgo Panigale e della Fattoria Urbana al Pilastro. Alberto, Cecilia, Roberto, Stefano e tanti altri sono i soci di Arvaia. Arrivano a 300 (ma puntano a 500 – quindi potete ancora unirvi a loro) e conducono una delle esperienza di cooperazione più interessanti del nostro paese.

Nella città che ha di fatto inventato gli orti urbani comunali, hanno introdotto la coltivazione urbana condivisa. Non più ognuno a “coltivare il proprio orticello”, ma una grande area agricola dove si sperimenta una gestione comunitaria che rafforza le relazioni, si diffonde una sana cultura alimentare, si recupera un rapporto con l’ambiente natuarale. Due anni fa, Arvaia ha partecipato ad un bando del Comune di Bologna, che ha assegnato in totale  42 ettari di terreno (!!!). Oggi in via Olmetola troverete un luogo ideale dove passare del tempo con i vostri figli, gli amici o semplicemente ritrovare voi stessi.

L’approccio è cooperativo e dedicato alla condivisione del bene comune: la terra da coltivare. La collaborazione comincia con la condivisione fra i soci di un budget di produzione, questo comprende tutte le spese che saranno effettuate durante l’anno per produrre il cibo che verra’ distribuito settimanalmente ai soci. L’obiettivo viene presentato a inizio anno in occasione dell’assemblea generale dei soci, organo sovrano, e da questa deve essere approvato. Il senso è di decidere insieme come e cosa coltivare, con la massima disponibilità a organizzare un lavoro agricolo con gestione e fatica condivisa. Il budget approvato viene suddiviso per il numero di soci, questo identifica la loro singola quota annuale, che dara’ diritto al ricevimento dei prodotti settimanalmente.

Ai soci viene richiesto di partecipare alle attività agricole in ragione di qualche mezza giornata all’anno in base alle proprie possibilità. Questo permette di prendere coscienza del come e dove il nostro cibo nasce e raggiunge le nostre tavole. I soci possono fornire la loro collaborazione al buon funzionamento della cooperativa in base alle loro competenze o capacità professionali (di un buon “ciappinatore” c’e’ sempre bisogno). La forma condivisa di un terreno come bene comune della cittadinanza (lo sottolineo: ettari agricoli in concessione dal Comune di Bologna), offre la possibilità di sviluppare attività conviviali e di cultura agricola per imparare a coltivare, trasformare e cucinare le eccedenze. A Borgo Panigale, la “città del cibo” di fatto esiste già e rappresenta un esempio di come riportare al centro la dimensione comunitaria attraverso una gestione sostenibile delle aree agricole. Tutto ciò produce lavoro, capitale sociale e culturale, tutela del paesaggio urbano, educazione e trasmissione di competenze. Avere una città dalla propria parte significa anche questo? a Bologna sì, eccome.

 

 

Da una “fattoria urbana” all’altra. Esattamente al Pilastro, una storia diversa ma ispirata da un approccio comunitario altrettanto importante. Circondata da palazzi e abitazioni, la Fattoria Urbana sorge da 50 anni nel quartiere S. Donato di Bologna, facilmente raggiungibile con i mezzi pubblici. Il Circolo La Fattoria, in collaborazione con varie associazioni educative avvicina la cittadinanza ai cicli della natura, al rispetto e alla conoscenza degli animali.

La Fattoria è un luogo aperto, dove le famiglie e chiunque lo desideri può avvicinarsi a questo mondo. I destinatari principali dei progetti didattici proposti sono le scuole, ma è qui che pulsa la vita comunitaria del quartiere. Ne ho avuto la riprova domenica partecipando alla Festa del Falò – Lòm  a Merz, tradizionale rito delle nostre campagne. L’accensione di falò propiziatori intendeva celebrare l’arrivo della primavera e invocare un’annata favorevole per il raccolto nei campi, ricacciando il freddo e il rigore dell’inverno. Il suo significato era quello d’incoraggiare e salutare l’arrivo della bella stagione, bruciando i rami secchi e i resti delle potature. Per questa occasione, ci si radunava nelle aie, si intonavano canti e si danzava intorno ai fuochi, mangiando, bevendo e soprattutto divertendosi. Questa domenica, ho visto uno dei tramonti più belli di Bologna e ho pensato, questa è la nostra comunità. Lo spazio e la dimensione capace di abbracciare le nuove generazioni nei luoghi costruiti con l’ingegno e la saggezza di chi ci ha preceduto.

Le città non sono fatte solo di mattoni, ma anche di terra e di concime. Ed è probabilmente da questi ultimi che avremo la possibilità di trarre le risorse per continuare a vivere insieme.

Matteo

 

 

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