Fabio Fornasari ha sviluppato progetti di natura espositiva e museale ma per presentarlo, nulla di meglio delle sue parole.
“Partiamo dalla fine: una persona è quello che ha fatto e che si aspetta di fare. Prevalentemente mi occupo di creare narrazioni intorno a contenuti di natura culturale e scientifica in forma di allestimenti e installazioni. In principio sono architetto; è il titolo. Ma sono pure museologo per esperienza e attitudine; artigiano di famiglia: si ragiona con le mani che accompagnano il pensiero astratto. Faccio sempre fatica a darmi un titolo, perché è la cosa alla quale ho sempre meno tenuto anche se lavoro perché la parola progettista assuma un significato per me e per gli altri. Cerco piuttosto qualcuno che voglia interloquire, parlare, ascoltare e sperimentare insieme”.
Cosa fai tu per Bologna?
Ho lavorato per lunghi anni fuori Bologna specialmente a Milano e Roma. Lì ho imparato a lavorare con le sensibilità delle persone con le quali sono entrato in contatto: il committente, il pubblico, chi ci affianca nel lavoro, chi lo realizza.
E’ una sensibilità che comprende tutto l’essere: fisico ed emotivo. A partire da questa sensibilità ho sviluppato a Bologna progetti di natura espositiva e museale che puntano a riconnettere relazioni, mettere in contatto, costruire ponti utilizzando tutte le tecniche e i linguaggi a disposizione.
Le tecnologie nuove o vecchie che siano non sono altro che “intelligenze” che si pongono in un certo grado di relazione con la nostra stessa intelligenza e le nostre sensibilità. Nostre nel senso di chi progetta e di chi viene invitato a completare il risultato utilizzandolo con la propria esperienza. Come accade quando giochiamo con un videogioco. In fin dei conti tutte le tecnologie hanno un compito preciso: aiutarci nel ragionare, nel costruire modelli.
Così funziona anche il Museo Tolomeo, pensato con Lucilla Boschi per l’Istituto dei Ciechi Cavazza: come un atlante delle emozioni sempre differente per chi lo attraversa.
Cosa può fare Bologna per te?
Una metafora.
Siamo abituati a vedere la città come un pesante e lento hardware in continua, lenta trasformazione. Noi invece, i cittadini, siamo cambiati ultimamente e molto velocemente.
La città cambia molto lentamente e cerca il suo rinnovamento spesso solo attraverso i principi del disegno, del progetto inteso come design di prodotto: un quartiere, un edificio, una piazza ecc.
Questo perché il luogo comune è chiedere città belle, più belle.
La richiesta.
Per me sarebbe bello se Bologna potesse diventare un intermediario per lavorare sul principio della felicità: le città possono anche essere belle ma sicuramente devono essere felici. Il “prodotto” finale.
Per essere felice deve accompagnare, suggerire, alimentare le metamorfosi dei sui cittadini ascoltandoli e offrendolo loro le strade, le occasioni, le relazioni, le connessioni.
Per le città è un destino ineluttabile in quanto non possono restare indietro rispetto a ciò che contengono: una vita sempre più competente, sofisticata, che esprime talenti e formula di continuo nuove domande e che non pensa di non avere bisogno di intermediari per esprimersi.
Un ideale?
Bologna, come tutte le città, deve costruirsi e modificarsi intorno alla vita che le animano accompagnandone i percorsi virtuosi. Ha bisogno di continue metamorfosi e non di sola rigenerazione di natura urbana, fisica.
Metamorfosi: il termine rimanda a un organismo vivente, biologico. Non pura materia, ma organismo vivo, un superorganismo. Perché le città come tutti gli organismi si trasformano, subiscono metamorfosi. Come un tempo resta la città il luogo dove le persone si costruiscono la propria felicità e la scambiano con gli altri e questa diventa cultura.
Una felicità è possibile solo se in connessione con il tutto, solo se intrecciata, collegata, connessa al tutto che gli fa da sfondo e che nello stesso tempo lo compone. Il progetto più importante oggi per ciascuno di noi è il progetto della felicità.
C’è un punto o una proposta del programma di una Città con te che ti ha colpito?
Una parola: immaginazione e le sue declinazioni. Senza immaginazione qualsiasi innovazione resta pura ripetizione, copia.
L’immaginazione è sempre creativa.