Via Guido Guinizelli, Bologna. Al civico numero tre c’è un posto che è un punto di riferimento importante per la nostra città, da sempre. Un luogo familiare e accogliente dove condividere pasti casalinghi e nutrienti. Spesso nei passaggi alla mensa dell’Antoniano abbiamo visto come – attraverso la distribuzione di “pasti extra” come sfrappole, uova di pasqua, dolci natalizi – avvenga non solo la condivisione di cibo ma sopratutto di luoghi, di tempo di vita e dignità.
Alessandro è responsabile dei servizi sociali di Antoniano da diverso tempo ormai. L’abbiamo contattato perché ci domandavamo come fossero andate le cose da queste parti durante il lockdown.
La prima cosa che ci ha detto è che da quando è scoppiata l’emergenza Covid-19 la mensa di Antoniano Onlus non si è mai fermata ma ha continuato a cucinare pasti, e consegnarli nel cortile per l’asporto, tutti i giorni compresi i fine settimana, dalle 12 alle 13.
I pasti sono aumentati negli ultimi mesi e continuano ad aumentare settimanalmente. Se prima della pandemia la mensa serviva in media un centinaio di pasti al giorno, oggi – racconta Alessandro – si può dire che la richiesta sia aumentata di almeno un terzo.
Quotidianamente c’è almeno una nuova segnalazione. Il telefono squilla oppure arriva una mail. Ad alzare il telefono, o a premere invio, è quasi sempre una donna.
Tante le persone che prima d’ora mai avevano dovuto rivolgersi ad una mensa, madri che non riescono più a far fronte ai bisogni primari per i propri bambini. In maggioranza straniere, ma ogni settimana arriva anche un grido d’aiuto da almeno una famiglia italiana. In tutti i casi sono persone che chiedono cibo, ma non solo. Molti chiedono medicine. Perché la nuova povertà è una condizione che si palesa in maniera inedita sotto l’aspetto medico e sanitario.
«Se sono genitore di due bambini e nel portafogli ho solo 20 euro – spiega Alessandro – andrò a comprare pasta e verdure, non andrò a comprarmi la medicina che magari serve solo a me per curare la malattia che mi porto dietro da tempo o il dolore del momento. Devo fare una scelta».
L’impoverimento economico sta facendo emergere una forte impossibilità di accesso anche solo alle medicine di base e porta, soprattutto in prospettiva, ad un peggioramento generale delle condizioni di salute dei nuclei che vivono con maggiori difficoltà questa crisi.
Normalmente per poter accedere al refettorio, gli utenti dell’Antoniano hanno una tessera: devono effettuare una semplice registrazione che serve alle operatrici sociali a monitorare le condizioni e i bisogni delle persone.
Invece durante la quarantena e ancora oggi nella cosiddetta fase 2, l’accesso alla mensa è di bassa soglia: non viene più richiesto di mostrare nessun documento, non occorre registrarsi, ma i pasti da asporto vengono consegnati indiscriminatamente a chiunque ne faccia richiesta, ad un’unica condizione: non più di un cestino per persona.
La decisione è motivata dall’esigenza di contenere e limitare possibili conflitti o disordini. Se qualcuno ritirasse più pasti, magari oltre che per sé per i propri familiari, potrebbe sollevare critiche e lamentele, da parte degli altri destinatari in fila, difficilmente gestibili in un contesto generale di sostanziale fragilità. Per questo motivo Antoniano ha organizzato un servizio a domicilio specificamente rivolto ai nuclei più numerosi, ad esempio intere famiglie. Un’attività in più che l’associazione riesce a svolgere grazie alla fitta rete di volontari sulla quale può contare.
Da questo osservatorio speciale, diretto da Antoniano, quello che risulta evidente è un enorme problema di stabilità emotiva con la quale politicamente non si è ancora del tutto fatto i conti. Tutte le persone che si rivolgono ad Antoniano avrebbero bisogno di un supporto psicologico: le telefonate vengono effettuate, sempre più, da parte di persone che cercano anche solo un contatto umano. Spesso in questo caso si tratta di anziani, in maggioranza italiani, che chiamano con una scusa: alla ricerca di compagnia più che di un pasto caldo. Ma anche utenti esasperati, prosciugati dall’esperienza della quarantena, le cui istanze di attenzione possono sfociare in aggressività.
«E’ urgente – conclude pertanto Alessandro – lavorare sul bisogno psicologico ed emotivo delle persone».
C’è una signora, tra le tante, che ha chiamato Antoniano per offrire il proprio aiuto, rendendosi disponibile a portare i pasti a domicilio, come volontaria.
Un gesto di solidarietà dietro cui si cela, scavando la superficie, anche un forte bisogno. Al termine della telefonata la signora infatti chiede se, nel portare il pasto a chi ne ha fatto richiesta, possa tenere un cestino anche per sé. «Non è che posso prenderne due, uno lo porto e uno me lo tengo?»