Ci siamo chiesti: come vanno le cose tra i piccoli commercianti di Bologna? Cosa è cambiato, per chi opera nel settore turistico o della ristorazione, tra il periodo della chiusura totale degli esercizi e l’inizio di questa strana stagione estiva?
Tra le tante persone che abbiamo intervistato la storia di Roberto Cipriano ci è parsa particolarmente esemplare: sia perchè Roberto gestisce vari punti vendita – al mercato Albani, al mercato delle Erbe, in via D’Azeglio – ed è titolare di altre aziende anche fuori città, sia perchè pure sua moglie Ilaria, che gestisce un piccolo B&B, ha subìto il blocco delle attività. Ma anche perchè hanno due figli molto piccoli e così mamma e papà, durante l’emergenza, si sono dovuti inventare tra le altre cose delle modalità nuove di gestione e cura della famiglia.
CONSEGNE ETICHE
La prima volta che abbiamo parlato con Roberto era marzo. All’epoca ci aveva raccontato che l’effetto più tangibile della quarantena a livello familiare si era avvertito con lo stop dell’esperienza dell’asilo condiviso con amici: tutti erano costretti nelle proprie abitazioni e comunque non sarebbe stato più gestibile in sicurezza. Sul fronte economico, invece, la preoccupazione maggiore ha riguardato fin da subito il brusco azzeramento delle richieste di soggiorno per il Bed and Brackfast della moglie.
Non che la gestione dei servizi di ristorazione nei quali è impegnato Roberto non sia stata intaccata dalla chiusura ma in qualche modo l’eventualità di poter attivare la consegna a domicilio faceva ben sperare, almeno in parte. «Per il delivery – raccontava Roberto in pieno lockdown – occorrerebbe verificare la possibilità di stringere accordi con realtà locali; potrebbe nascere un’opportunità con chi è più radicato sul territorio e condivide valori di sostenibilità e rispetto dei diritti. Sarebbe interessante sviluppare idee e sinergie sulla base della condivisione di valori, sviluppare servizi di prossimità». Un’istanza largamente condivisa tra i piccoli commercianti cittadini e già intercettata dalla Fondazione Innovazione Urbana che da qualche mese ormai ha aperto il «Cantiere Consegne Etiche», “dedicato al confronto tra tutte quelle realtà che, a partire da questa situazione, si sono autorganizzate per mettere in atto soluzioni innovative con l’obiettivo di ripensare insieme a come superare il modello del capitalismo di piattaforma e prototipare dispositivi collettivi e solidali di consegna a domicilio”.
BARRIERE FISICHE E PSICOLOGICHE
Due mesi più tardi abbiamo chiesto a Roberto come sia andata a finire e lui ci ha risposto così: «Da un punto di vista lavorativo, l’inizio della cosiddetta fase 2 lo faccio coincidere con la delibera regionale che ha permesso, a partire dal 26 aprile, di riaprire i negozi per l’asporto. Fino a quel momento io e il mio socio ci eravamo concentrati solo sul punto vendita di Via D’Azeglio, mentre da quella data abbiamo riaperto anche la sede storica di Via Malcontenti, dividendoci il carico di lavoro».
I locali dei quali parla sono quelli di Zazie, “il network del gusto libero” nato sotto le Due Torri nel 2009 e ora presente anche in molte altre città italiane: «nelle prime settimane – spiega Roberto – non c’è stato un incremento delle vendite, ma i soliti pochi clienti ci hanno sostenuto venendo loro stessi a prendere le consumazioni anzichè farsele portare a casa dal sottoscritto in bicicletta. Qualcuno ha continuato a richiedere la consegna a domicilio ma per motivi di organizzazione interna e considerato che il numero di ordini era molto basso, abbiamo preferito non avviare il delivery. Anche perchè a partire dal 18 maggio abbiamo cominciato ad avere un po’ più di clienti, la quarantena era finita e le persone potevano di nuovo muoversi liberamente».
In tutti i casi, dal suo osservatorio Roberto percepisce chiaramente come il trauma da lockdown abbia innalzato una sorta di barriera psicologica che impedisce agli avventori di sentirsi a proprio agio o al sicuro nei luoghi che attraversano: «molti clienti preferiscono portare in studio o in ufficio il cibo e non si fermano più, come una volta, a mangiare sul posto». Allo stesso tempo non è nemmeno facile adeguarsi ai nuovi spazi: «laddove c’erano 15 posti a sedere ora ce ne sono 5 e il processo di vendita/acquisto è cambiato radicalmente». Prima ci si disinfetta, poi si mangia, poi si paga; oppure prima si paga, poi ci si disinfetta e poi si mangia; oppure prima si mangia, poi si paga e per ultimo ci si disinfetta? «Tradotto – sbotta Roberto – è un inferno!».
COME LO SMARTWORKING CAMBIA I CONSUMI
A parte il contesto del tutto nuovo per tutti, a parte le regole sul distanziamento sociale e quelle igieniche, oggi ancora più stringenti che in passato, le vendite stanno vivendo una crescita lenta: «ho imparato a non fare più, come era abitudine pre-Covid, un’analisi sul venduto paragonata al mese dell’anno precedente, soprattutto per non deprimermi. Ma il paragone si sviluppa ormai sempre di più sul giorno precedente».
Dal punto di vista di Roberto e del suo socio, il forte calo del fatturato è diretta conseguenza del fatto che numerose aziende stanno continuando a sperimentare e operare con lo smartworking: «ad esempio abbiamo scelto di non riaprire il nostro punto vendita in Bolognina, al mercato Albani, dato che la nostra clientela abituale attualmente e almeno fino a settembre lavorerà da casa (si tratta principalmente di dipendenti privati come quelli di Illumia e Telecom, oppure dei dipendenti pubblici del Comune). Lo stesso discorso vale per il punto vendita di Genova dove abbiamo provato a riaprire nel mese di giugno ma senza successo, per la stessa ragione».
A questo si aggiunge la preoccupazione costante per la gestione lentissima della cassa integrazione per i lavoratori: «l’esempio più significativo riguarda la nostra collaboratrice della Liguria che ad oggi – primo luglio – ha ricevuto solo i 15 giorni di marzo mentre i nostri collaboratori su Bologna hanno ricevuto marzo e aprile; anche per questo motivo stiamo ampliando in queste settimane l’orario di apertura, per scongelare un minimo la cassa e garantire un po’ di reddito».
NIDO IN FAMIGLIA E BONUS BABY SITTER
Affianco alla vita lavorativa, riprende intanto a respirare anche la vita privata. «Nel mio caso si tratta di due figli piccoli, 3 anni la prima e un anno e mezzo il secondo, e di una splendida compagna che in questi ultimi quattro mesi ha gestito principalmente i bambini mentre io ero a lavoro». Ma non solo, perchè in parallelo Ilaria ha svolto una supplenza alle scuole superiori – terminata con gli esami di maturità della scorsa settimana – e continuato a seguire quello che sarebbe il suo lavoro principale con il B&B.
«La sua attività di host, avviata ormai da quasi 5 anni, è cresciuta di pari passo con lo sviluppo turistico della nostra città» – racconta il marito. «Avendo la pandemia interrotto improvvisamente il traffico aereo, a risentirne è stato tutto quell’indotto che viveva esclusivamente di turismo, dalle strutture ricettive ai ristoratori». Così in questi mesi di caos calmo, con prenotazioni annullate e zero ospiti, Ilaria ha fatto di necessità virtù, approfittando di questo vuoto per concentrarsi sulla ristrutturazione dell’appartamento.
Solo nell’ultimo mese qualche turista ha ricominciato ad affacciarsi: in un primo momento le prenotazioni hanno riguardato esclusivamente viaggiatori provenienti dal territorio nazionale ma ora, lentamente, anche dall’estero.
«La sua e la nostra fortuna in questo periodo emergenziale – prosegue Roberto – è stata la supplenza che ha portato avanti con la didattica a distanza, a volte tra un pianto e l’altro dei bimbi. Nel frattempo infatti ci siamo anche dovuti rivolgere a due babysitter: per Aurora, nostra primogenita, abbiamo preservato un contratto avviato da settembre (conclusosi a fine maggio) per un progetto di nido in famiglia che si svolgeva proprio da noi, mentre per il piccolo Antonino abbiamo attivato il bonus per l’acquisto di servizi di baby-sitting trovando una ragazza che ci ha dato una mano (nonostante molte difficoltà mostrate dal piccolo che non riesce a stare lontano dalla mamma)».
Potendo contare su una nonna che vive in montagna e un’altra al mare, nei prossimi giorni Roberto accompagnerà l’intera famiglia lontano da Bologna: «loro si fermeranno fino a settembre, io rientrerò dopo poco perchè ho da lavorare sodo. Mi concederò pochi giorni di ferie solo ad agosto».